Intervista a Michele Scardi, CONISMA

Per la rubrica “I NOSTRI SOCI” intervistiamo Michele Scardi, Presidente di CONISMA, Membro del Consiglio Direttivo di Cluster Big e operante nell’area tematica RISORSE BIOTICHE MARINE.

1. Prima di tutto presentiamo CONISMA, Ente di cui lei è Presidente.

CONISMA è un Consorzio Nazionale Interuniversitario. Raggruppa oggi 36 università, in ognuna delle quali ci sono gruppi di colleghi che si occupano di scienze del mare e i docenti che afferiscono a CONISMA sono, attualmente, più di 800. Ogni Ateneo aderisce al consorzio tramite un atto firmato dal rettore. Poi i singoli docenti o ricercatori fanno domanda di afferenza, lavorano su progetti propri e partecipano alle attività del consorzio.

CONISMA è composto solo da università ed è vigilato da vari ministeri: in primis dal Ministero dell’Università e della Ricerca, ma anche dai Ministeri della Cultura, dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste e delle Infrastrutture e Trasporti.

Il valore aggiunto per i docenti che scelgono di aderire a CONISMA è molto semplice e si fonda su due aspetti. Il primo: spesso, nei progetti europei, non è possibile avere troppi partner italiani. CONISMA permette a un collega di Milano-Bicocca e a uno di Reggio Calabria di partecipare insieme sotto un’unica sigla. Questo facilita l’ingresso nei consorzi. Vale anche per il contesto nazionale: CONISMA viene consultato quando ci sono problemi che riguardano il mondo della ricerca. Se, ad esempio, serve un rappresentante in una commissione internazionale, i ministeri interessati consultano i grandi Enti pubblici di ricerca, come CNR, INGV e INFN, e anche il CONISMA.

CONISMA però è diverso dagli altri: non ha un fondo ordinario di finanziamento, vive di ciò che produce. È un ente “povero”, tant’è vero che il presidente non riceve alcun compenso e la competizione per la carica è tutt’altro che serrata e chi si candida lo fa per puro spirito di servizio. Eppure i colleghi vogliono lavorare con CONISMA perché funziona: ha le regole di un’amministrazione pubblica, ma con la flessibilità e l’efficienza di una macchina snella. Chi lavora in CONISMA sa che il suo futuro dipende da cosa fa oggi, domani, dopodomani. Nelle università, spesso non è così. Ad esempio, io stesso ho perso finanziamenti importanti perché una PEC inviata al mio rettorato è rimasta inevasa per mesi.

2. Di cosa si occupa la sua organizzazione, relativamente all’Economia del mare?

Se parliamo di economia del mare, intesa nel senso stretto degli economisti, all’interno di CONISMA ci sono colleghi universitari che se ne occupano e sono una dozzina, distribuiti in 5 o 6 università. Farei torto a qualcuno se cercassi di nominarli tutti. Una presenza significativa è, incredibilmente, all’Università del Molise, che, geograficamente, è forse una delle più distanti dal mare in Italia, ma che è molto attiva sui temi legati al mare da un punto di vista economico.

Però è chiaro che c’è anche un’economia del mare che riguarda i non-economisti. Penso, per esempio, ai colleghi che si occupano di pesca e acquacoltura. Il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste finanzia, attraverso un consorzio di cui il CNR è capofila (CONISMA è partner, insieme a una serie di altri soggetti di minori dimensioni), tutta la raccolta e la trasmissione dei dati sulla pesca verso Bruxelles. Per dare un’idea, è un’attività che vale 23 milioni di euro: una base fondamentale per l’economia di questo settore marino.

Per l’acquacoltura, abbiamo una lunga storia di supporto, soprattutto alle imprese. Ma ci sono anche colleghi ingegneri che si occupano di energia dal mare, in particolare dall’energia del moto ondoso. Sono almeno due i gruppi molto attivi su questo, che lavorano a stretto contatto con gli oceanografi fisici.

Anche altri rami dell’ingegneria sono coinvolti, ad esempio chi gestisce vasche navali, in stretto contatto con la cantieristica e con i settori che lavorano intorno ai mezzi marittimi.

Tra gli ecologi, che rappresentano una parte importante della comunità CONISMA, c’è un grande interesse per due temi molto vicini agli aspetti economici: la valutazione del capitale naturale e quella dei servizi ecosistemici. Questo porta spesso, anche grazie alla collaborazione con gli economisti, a una valutazione in termini monetari. Per esempio: quanto vale un ettaro di prateria di Posidonia? Le stime servono, ad esempio, per valutare il danno ambientale o per effettuare analisi costi-benefici. L’ex Ministero dell’Ambiente ha per anni supportato un gruppo di lavoro su questi temi, a cui i colleghi CONISMA hanno sempre partecipato. I gruppi più attivi sono a Napoli Parthenope e a Genova.

3. Quali sono le principali sfide e opportunità che intravede per l’economia del mare italiana e in particolare per il suo settore? 

La Blue Growth, quando è stata lanciata ormai quasi dieci anni fa, ha generato grandi aspettative. Si pensava avrebbe portato nuove opportunità. Invece non ha creato l’effetto volano sperato. Nessuno si aspettava soldi facili, ma ci si attendeva maggiore fiducia nell’investire nel mare, per il mare. E questo, oggettivamente, non è accaduto.

Una probabile ragione è che non si è mai davvero sviluppata una visione compiuta di economia marittima. L’Italia è leader in molti settori del mare – per fortuna – ma non in un quadro organico. Uno strumento fondamentale per rendere concreta l’economia del mare era la pianificazione spaziale marittima, affidata al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Invece, è stata chiusa rapidamente con un primo esercizio poco partecipato, che non ha soddisfatto nessuno.

Lo dico anche in qualità di rappresentante del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste nel tavolo tecnico della Marine Strategy, che deriva da una direttiva europea che si occupa dello stato degli ecosistemi marini. Sarebbe logico che questa azione fosse coordinata con la pianificazione spaziale, ma le due non hanno mai comunicato. Il nostro ministero non è mai stato interpellato, o lo è stato solo formalmente e senza alcun peso reale.

Questa mancanza di coordinamento è un ostacolo enorme. Un esempio concreto: se si deve dragare un porto, bisogna sapere dove depositare i sedimenti in mare. Ma senza una pianificazione, ogni caso parte da zero. Si coinvolgono comuni, regioni… e spesso il dragaggio non si fa. Il Dipartimento per le Politiche del Mare ne sta discutendo ora, vedremo se porterà a qualcosa.

Per esprimere il potenziale che abbiamo, serve un cambio di paradigma. Alcuni settori si stanno riattivando, anche grazie agli investimenti nella difesa, che stanno generando nuovo entusiasmo. Ma non basta. Abbiamo praticamente dismesso il settore dell’estrazione di risorse marine. Si parla di smantellare piattaforme ancora operative. Ci chiedono di ragionare con ISPRA su come smantellarle o riconvertirle. Ma intanto ci domandiamo: perché dobbiamo lasciare che il nostro gas lo estraggano i croati? Forse non è conveniente? E allora perché loro lo fanno? Ma queste cose restano tabù.

Eppure molte delle critiche – ad esempio sul rumore sottomarino – sono esagerate. Certo, il rumore è un problema, ma il traffico navale incide di più. E in mare gli animali tendono ad allontanarsi in presenza di disturbo. La geofisica per esplorare risorse si può fare con coscienza. Per il ponte sullo Stretto di Messina, per esempio, è previsto un sistema avanzato di monitoraggio dei cetacei per evitare impatti negativi.

Un altro ostacolo sono certe politiche europee. Faccio un esempio: per abbassare la taglia minima delle vongole da 25 a 22 mm – richiesta dagli operatori e a impatto ambientale nullo – ci sono voluti anni di trattative con Bruxelles. L’85% delle vongole europee si pesca in Italia: perché dobbiamo chiedere il permesso?

Ci sono poi politiche ambientali che non considerano gli effetti produttivi. Abbiamo fissato l’obiettivo di ridurre il fitoplancton costiero – le alghe unicellulari – nelle acque tipo 1 e 2 (cioè quasi tutte tranne le piccole isole). Ma il fitoplancton sostiene l’acquacoltura e tutta la rete trofica, fino ai cetacei. Qualcuno ci ha pensato? No. Si è fatto per imitare paesi del Mare del Nord, che hanno problemi ambientali diversi dai nostri.

Infine, una nota sulla ricerca: stiamo perdendo competenze. I nostri migliori giovani ricercatori emigrano verso paesi in cui hanno più supporto per il loro lavoro e sono meglio pagati.

4. Queste sfide possono diventare opportunità?

Si, ma servono risorse. Io, da oltre 30 anni, mi occupo di fanerogame marine (come le Posidonia), incluso il loro trapianto, e di tecniche di machine learning e intelligenza artificiale applicate all’ecologia. Ho collaborato anche con l’industria su questi temi. Ma c’è un abisso tra pubblico e privato: il pubblico sviluppa idee e conoscenza teorica, ma spesso non ha i mezzi per trasformarle in applicazioni.

Al tempo stesso, molte aziende preferiscono formare internamente i propri tecnici, anziché assumere giovani già formati. Perché le competenze acquisite all’università non sono quelle richieste. Quando ero nel Consiglio Tecnico Scientifico del BIG, avevo il compito di occuparmi di Skills & Jobs. Abbiamo chiesto a tutti i partner, anche agli enti di ricerca, di indicarci quali competenze ritenevano fossero carenti. Sono arrivate due o tre risposte in tutto. Quasi nulla. Nemmeno dalle industrie.

Eppure basterebbe poco: se le 36 università associate in CONISMA ricevessero richieste concrete su cosa serve, potremmo organizzare dottorati mirati, percorsi formativi ad hoc. Invece no: quando abbiamo proposto dottorati con partner industriali, ne sono partiti pochissimi, e solo su base di conoscenze personali, mai come sistema.

5. In questo contesto quale può essere il principale contributo di BIG?

Il cluster potrebbe giocare un ruolo importante, e comprendo che, essendo una realtà giovane, finora non lo abbia fatto appieno. Ma potrebbe iniziare a farlo, gradualmente, a partire da adesso.

Per esempio, nel momento in cui si devono suggerire direzioni strategiche di sviluppo per iniziative o progettualità, i cluster avrebbero dovuto essere fra gli interlocutori principali del MUR. Così non è stato. Quando sono arrivati i fondi del PNRR, non dico che il cluster dovesse gestirli, ma avrebbe potuto indicare linee di indirizzo o proporre temi condivisi, frutto di una discussione aperta. Invece, è stato tutto deciso top-down, senza coinvolgimento. Il risultato è che solo i soliti noti hanno avuto accesso ai finanziamenti.

Un esempio: abbiamo un centro nazionale per la biodiversità, finanziato con fondi importanti, che ha permesso a molti giovani di ottenere posizioni da ricercatore universitario di tipo A. Ma il 90% di loro a breve si ritroverà senza prospettive, perché non ci sono risorse per dare continuità. Un investimento dissipativo.

Un primo contributo del BIG, dunque, dovrebbe essere quello di mettere in comunicazione competenze e industria. L’industria dovrebbe poter esprimere esigenze formative e operative, mentre chi fa ricerca e formazione dovrebbe poter rispondere con idee, progetti e servizi. Un dialogo basato sulla domanda e l’offerta – non di merci, ma di idee e soluzioni.

Il secondo aspetto riguarda il supporto alle istituzioni: BIG potrebbe aiutare a indirizzare meglio gli investimenti pubblici. Ovviamente, questo non dipende solo dal cluster, ma è un contributo potenziale molto rilevante, qualora le istituzioni fossero disposte ad ascoltare.

Va ricordato che il cluster non è nato per caso: qualcuno, a livello istituzionale, ha voluto la sua creazione. Sarebbe il momento di chiederci perché lo abbiamo fatto, e rivolgere la domanda anche a chi ce lo ha chiesto. Anche se è probabile che nessuno risponderà.

6. Quale contributo ritiene che la sua organizzazione possa offrire all’interno di BIG? E, al contempo, come si aspetta che BIG valorizzi il suo contributo per affrontare le sfide e cogliere le opportunità?

Fondamentalmente, il contributo che CONISMA può offrire è legato innanzitutto alla formazione – è la nostra natura, lo facciamo per vocazione. Ma c’è anche un altro aspetto importante, ovvero la possibilità di interloquire con le pubbliche amministrazioni. Molti di noi, come universitari, collaborano già a vario titolo con enti pubblici, sia a livello centrale che regionale.

Da un punto di vista tecnico-scientifico, spesso possiamo esprimere valutazioni che diventano utili nel processo decisionale. Questo tipo di contributo può avere un impatto molto più forte se presentato in sinergia con chi rappresenta il mondo produttivo. Una voce congiunta, quella della ricerca e quella dell’impresa, davanti ai decisori pubblici, può davvero fare la differenza. E il cluster può essere il luogo dove questo avviene.

Un’altra cosa che il BIG potrebbe fare, e che sarebbe estremamente utile, è creare occasioni per farci conoscere tra noi. Oltre alla rete personale di contatti che ognuno ha, servono spazi dove scoprire chi offre certi servizi, chi ha bisogni che altri possono soddisfare. Un luogo dove costruire nuove connessioni, anche in modo semplice.

Per esempio, noi lavoriamo molto sui monitoraggi ambientali e sulle compensazioni. Collaboriamo da anni con Terna, con Enel, e con tutti quelli che operano in mare, soprattutto oggi nel settore dell’eolico offshore. Molti ci conoscono, ma non tutti. E lo stesso vale per noi: conosciamo tanti operatori, ma non tutti. Il cluster potrebbe diventare un punto di incontro tra domanda e offerta – non commerciale, ma di competenze e opportunità. Anche questa sarebbe una funzione semplice da mettere in campo e molto efficace.

Un altro ambito su cui il cluster potrebbe valorizzare il contributo di CONISMA è quello dei dottorati in partnership con l’industria. Se ci fosse volontà, si potrebbero creare percorsi di grande interesse, soprattutto per il settore industriale.

Le racconto la nostra esperienza con Terna, con cui lavoriamo in piena fiducia. Ci chiedono spesso se abbiamo persone disponibili: mandiamo curriculum, li assumono, sono soddisfatti. Ma – lo dico senza peli sulla lingua – spesso si tratta di giovani che, nel mondo accademico, non ce l’hanno fatta. Non abbastanza determinati o strutturati per una carriera scientifica. Eppure, in azienda trovano la loro strada e fanno bene. Va bene così.

Ma se chiediamo a Terna di finanziare una borsa di dottorato su un tema che riguarda direttamente ciò che facciamo per loro, la risposta è molto difficile. Far uscire anche pochi soldi implica passaggi complicati, consigli di amministrazione, resistenze. È più semplice rivolgersi a noi per avere giovani affidabili, ma non di eccellenza, perché vogliono formarli loro.

Questo tipo di collaborazione non crea vero valore aggiunto. In questo senso, il cluster potrebbe aiutare a cambiare paradigma: non più solo agenzie di collocamento, ma partner nella formazione di alto profilo, utile per tutti.

Breve Bio

Nato a Napoli l’11 gennaio 1956, coniugato con due figli.

Laureato in Biologia con 110/110 e lode all’Università di Napoli nel 1980.

Fra il 1986 ed il 1989 è stato professore a contratto presso le Università di Sassari e Palermo. Nell’ottobre 1989 è entrato nello staff della Stazione Zoologica “A. Dohrn” di Napoli come ricercatore presso il Laboratorio di Oceanografia Biologica, dove ha svolto le sue attività di ricerca per quasi dieci anni. Dal novembre 1998 ha preso servizio come professore associato di Ecologia, presso l’Univerità di Bari e poi, dal novembre 2001, presso l’Università di Roma “Tor Vergata”, dove attualmente è professore ordinario di Ecologia. Ha da sempre optato per il regime di tempo definito, affiancando all’attività didattica e di ricerca anche l’attività professionale. Ha tenuto corsi e seminari sull’Ecologia Numerica e sull’uso in Ecologia di tecniche di Intelligenza Artificiale e Machine Learning presso Univeristà ed altri Enti, sia in Italia che all’estero ed ha supervisionato 23 dottorati di ricerca.

E’ membro fondatore della International Society for Ecological Informatics, per la quale ha organizzato la 3.a Conferenza. E’ membro dell’Editorial Board di Ecological Informatics (Elsevier), di Freshwater Biology (Wiley) e, con compiti editoriali esecutivi, di Scientific Reports (Nature Publishing). E’ stato guest editor di Ecological Modelling e autore di circa 200 fra lavori scientifici, libri e capitoli di libri, oltre che di più di 300 comunicazioni a congressi.

E’ stato membro della Commissione Scientifica Nazionale per l’Antartide dal 2007 al 2011. Attualmente è presidente del Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Scienze del Mare (CoNISMa) e vicepresidente della Società Italiana di Biologia Marina. Ha fornito assistenza tecnico-scientifica al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare nell’ambito delle attività del Comitato Tecnico istituito ai fini dell’implementazione della Direttiva Quadro per la Strategia Marina, in cui attualmente rappresenta il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste.

Le sue attività di ricerca attuali nell’ambito di programmi nazionali ed internazionali includono le applicazioni in Ecologia di tecniche Intelligenza Artificiale e Machine Learning, i modelli di produzione primaria fitoplanctonica a scala globale e regionale, la biologia ed i trapianti di Posidonia oceanica, la valutazione dello stato degli ecosistemi acquatici e lo sviluppo e l’applicazione di tecniche di analisi dei dati in ecologia, zoologia ed oceanografia.

I nostri soci

Il Cluster BIG riunisce una rete di eccellenza composta da università, enti di ricerca, aziende e enti pubblici che operano nel settore della blue economy.

La collaborazione e la condivisione di competenze tra i nostri associati rappresentano il motore trainante dell’innovazione e della crescita sostenibile del settore.

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