di Monia Renzi1*, Francesca Provenza1,2, Serena Anselmi2
1Dipartimento di Scienze della Vita, Università di Trieste, via L. Giorgieri n. 10, 34127 Trieste.
2Bioscience Research Center, Via Aurelia Vecchia n. 32, 58015 Orbetello.
Sintesi dei contenuti
I sedimenti marino-costieri sono oggetto di grande interesse per tutti coloro che operano direttamente o indirettamente nel campo della “blue economy”. Si tratta di una risorsa indispensabile per le aree costiere sottoposte ad erosione, ma rappresentano un problema quando devono essere rimossi dagli ambiti portuali, lagunari e di foce fluviale. Una gestione oculata ed attenta è spesso l’elemento in grado di spostare l’ago della bilancia verso la fattibilità o meno di opere con larga ricaduta economica, politica e sociale. I sedimenti da movimentare pongono, infatti, questioni di carattere ecologico e, potendo interferire con la conservazione degli ecosistemi marini e con la fruibilità della risorsa mare, devono essere gestiti in modo opportuno in relazione alla loro qualità complessiva, la cui definizione diventa un aspetto cruciale nelle strategie di management. Pertanto, l’ottimizzazione delle strategie applicabili alle molteplici problematiche legate ai sedimenti è un’esigenza trasversale con importanti ripercussioni nella economia associata al mare.
- L’importanza del comparto mare per l’Italia
La fascia marino-costiera è da sempre un catalizzatore naturale delle attività umane. Alla fine del ‘900, il numero di persone residenti lungo la costa del Mediterraneo era prossimo a 136 milioni [1]. In Italia, il fenomeno è particolarmente importante dato che l’estensione della linea di costa si avvicina agli 8000 km.
Oggi, secondo un report pubblicato da Teleborsa [2], l’Italia, ricava un contributo sostanziale dalle attività legate alle realtà costiere e portuali. Stime recenti mostrano che le differenti attività economiche, commerciali, produttive, turistiche ed energetiche correlate al mare contribuiscono al 25% del PIL nazionale. In particolare, solo il settore turistico, implicato nella fruizione della risorsa mare, rappresenta oltre il 60% del flusso turistico globale annuo (equivalente al 6% del PIL nazionale); a fronte di 6,6 milioni di cittadini italiani, le presenze turistiche via mare sono stimate essere 26 milioni. Secondo questi dati, inoltre, la logistica legata alle cosiddette “autostrade del mare”, impegna circa il 64% dell’import e il 50% dell’export nazionale.
I sistemi portuali, in questa logica, costituiscono strutture di grande importanza strategica, economica e sociale di cui si attende il potenziamento nel prossimo futuro come conseguenza diretta della globalizzazione del commercio [3]. Sempre secondo Teleborsa, l’Italia occupa la terza posizione mondiale in acquacoltura con 800 impianti di produzione dislocati sul territorio ed è un importante hub di gasdotti, elettrodotti e cavi per la trasmissione dei dati [2].
In questo contesto, si stima che negli ultimi cinquanta anni, parallelamente all’esigenza crescente di disporre di superfici costiere per la fruizione turistica, si sia assistito ad una perdita di 35 milioni di m2 di coste con ingenti danni all’economia locale come documentato, ad esempio, nel caso dell’erosione della Plaja di Catania [4].
- La gestione dei sedimenti: una sfida di sostenibilità
In questo contesto, i sedimenti e la loro gestione rappresentano un aspetto cruciale in grado di interferire in modo sostanziale con le economie sopra descritte. È oggi noto che sono un comparto di accumulo di macronutrienti e contaminanti ambientali [5]. In particolare, la fascia costiera e gli ecosistemi portuali, interessati dai maggiori impatti antropici sono ambiti potenzialmente a rischio per questi aspetti. Tra le sostanze capaci di accumulare nei sedimenti costieri di estuari, lagune [6] e porti [7-10] ricorrono i metalli e metalloidi (es. As, Hg, Pb, Zn), i composti xenobiotici (es. PCB, pesticidi, PFOA/S e PBDE) e gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) che, in ambito portuale, possono raggiungere livelli molto elevati [11] anche in relazione al tipo di destinazione d’uso (turistica, commerciale, industriale o mista) [12]. Per valutare i rischi associati agli interventi, la movimentazione dei sedimenti è stata normata prima dal D.M. del 24 gennaio 1996 “Direttive inerenti le attività istruttorie per il rilascio delle autorizzazioni di cui all’art. 11 della Legge 10 maggio 1976, n. 319 e successive modifiche ed integrazioni, relative allo scarico nelle acque del mare o in ambienti ad esso contigui, di materiali provenienti da escavo di fondali di ambienti marini o salmastri o di terreni litoranei emersi, nonché da ogni altra movimentazione di sedimenti in ambito marino” e, successivamente, dall’art. 109 del D.Lgs. 152/06 “Norme in materia ambientale” con il D.M. 173/16 “Regolamento recante modalità e criteri tecnici per l’autorizzazione all’immersione in mare dei materiali di escavo dei fondali marini” che ne costituisce l’allegato tecnico.
L’evoluzione normativa specifica è stata lunga e complessa; le principali problematiche affrontate durante questo percorso sono descritte dettagliatamente in un lavoro recente [13]. In breve, ad oggi, mentre il D.M. 24 gennaio 1996 è rimasto vigente solo per la parte relativa alla posa di cavi e condotte (Allegato B2), il DM 173/2016 regolamenta le movimentazioni di sedimento finalizzate al ripristino delle foci fluviali, al dragaggio portuale e al ripascimento in tutto il territorio italiano esterno ai siti di bonifica di interesse nazionale (SIN) o Regionale (SIR).
Gli interventi necessari per ripristinare il battente d’acqua e garantire la funzionalità portuale devono essere eseguiti frequentemente [14], in parallelo, contrastare l’erosione costiera [2] richiede materiale sabbioso e implica impegno di risorse naturali. In entrambi i casi, devono essere stanziate ingenti risorse economiche nel primo caso per rimuovere, nel secondo per depositare sedimento. Nella logica dell’economia circolare, della valorizzazione delle risorse e del recupero di materiali naturali, il D.M. 173/2016 impone di verificare in via prioritaria la possibilità di utilizzo dei sedimenti per il ripascimento costiero. Questa opportunità deve essere valutata come scelta di elezione per il sedimento dragato e deve essere esclusa solo con l’evidenza di classificazioni di rischio ambientale che non ne permettano il recupero.
Inoltre, l’approccio promosso dal D.M. 173/2016 fornisce un ruolo primario alla valutazione del rischio ecotossicologico lasciando alla determinazione del pericolo chimico un profilo marginale. In sintesi, effettuare un saggio di tossicità permette di ottenere una valutazione integrata sulla potenziale pericolosità per l’ambiente marino che deriva dalla movimentazione del sedimento saggiato [15]. L’innovazione nella valutazione dei risultati introdotta da questo decreto riguarda il passaggio dall’approccio tabellare a quello ponderato. I risultati ecotossicologici sono pesati considerando la sensibilità della specie testata, la significatività statistica del risultato, la rilevanza ecologica della matrice e la tipologia di esposizione. La valutazione chimica tiene conto non solo della tipologia di contaminante che ha determinato l’eventuale superamento delle soglie di riferimento, ma anche del numero di contaminanti oltre al limite e dell’entità del superamento [16]. L’integrazione complessiva di queste stime di pericolo effettuate in modo disgiunto determina il rischio complessivo associato alla movimentazione del sedimento. La logica sulla quale si basa il principio applicato dalla norma è l’approccio Weight of Evidence, se le evidenze sperimentali non mostrano effetto, il sedimento ha una classificazione di rischio assente e può essere utilizzato per i ripascimenti [17].
- Le zone ad anomalia geochimica: implementazione dei livelli soglia locali
Il territorio nazionale italiano è ed è stato caratterizzato da attività vulcanica intensa. Come principale conseguenza i sedimenti mostrano arricchimenti di metalli e metalloidi originati dalle anomalie geochimiche locali. Ne sono un esempio l’anomalia nota come “Elba-Argentario” in Toscana e quella dell’Arco Eolico in Sicilia [18-19]. In queste zone i livelli soglia di contaminazione chimica definiti dal D.M. 173/2016 elaborati su base nazionale sono spesso troppo bassi. In queste aree, la frazione pelitica del sedimento (particelle con dimensioni inferiori a 63 micron) è ricca in feldspati ed elementi in traccia di origine naturale [20]. In questi sedimenti i livelli di metalli e metalloidi possono essere molto elevati non producendo alcun effetto ecotossico perché non biodisponibili ma chelati nei feldspati del reticolo cristallino della matrice [20]. In questi casi, la definizione di livelli chimici locali specifici da associare all’analisi Weight of Evidence per la composizione chimica è funzionale ad ottenere una classificazione del rischio adatta allo specifico contesto ambientale.
Particolarmente problematica è la gestione dei sedimenti in aree geografiche in cui l’esistenza dell’anomalia geochimica non è associabile a condizioni geologiche naturali ma attribuibile ad una condizione industriale naturalizzata risalente ad epoche storiche passate. In questo contesto la presenza di minerali che determinano l’anomalia nel sedimento marino è dovuta all’estrazione degli stessi e diffusa su aree vaste; è questo il caso, ad esempio, dei valori di fondo del Hg in Friuli-Venezia Giulia, dove i livelli nel sedimento variano da <LOQ-25 mg/kg p.s. [21]. Anche per queste aree andrebbero ottimizzati valori locali che tengano in considerazione la naturalizzazione avvenuta dei livelli di fondo.
L’auspicio per il futuro è di disporre di valori di riferimento locali per tutte le aree territoriali nazionali interessate da questo tipo di anomalia. In questo contesto, l’accordo di collaborazione interistituzionale finalizzato a gestire le anomalie geochimiche della Regione Toscana rappresenta un esempio, riproducibile in altri contesti territoriali, di come sia possibile creare sinergie virtuose con lo scopo di definire i livelli geochimici di base locali su scala Regionale [22].
- Le sfide del futuro
Posa di cavi e condotte – Relativamente alla posa di cavi e condotte è auspicabile una rivisitazione dell’assetto normativo che, attualmente, risulta aggiornato al 1996. Sarebbe necessario prevedere una rivalutazione degli indicatori ricercati nei sedimenti come traccianti di contaminazione includendo l’approccio ecotossicologico integrato che attualmente viene inserito spontaneamente da molti soggetti proponenti in fase di caratterizzazione. Inoltre, sarebbe auspicabile la definizione di un criterio di interpretazione dei risultati basato su un approccio oggettivo di analisi del rischio associato alla movimentazione per la specifica opera. TERNA è il maggiore operatore indipendente di reti per la trasmissione di energia elettrica in Europa ed è quello maggiormente coinvolto sul territorio nazionale in termini di progettazione, portata e ricaduta economica e sociale degli interventi di caratterizzazione ambientale svolti in riferimento a questa normativa [23-24]. Sarebbe auspicabile mettere a sistema in modo organizzato e strutturato le esperienze ottenute nel corso del tempo dagli operatori che hanno applicato questa normativa allo stato attuale
Dragaggi e ripascimenti – Tra gli aspetti che ancora necessitano di essere attenzionati sono da ricordare i fattori interferenti nelle classificazioni di rischio dei sedimenti dovuti a caratteristiche della matrice e/o alla gestione dei campioni.
Queste interferenze possono essere risolte effettuando la scelta della batteria di specie più adatta al contesto specifico, la valutazione dell’interferenza dei livelli di ammonio per la selezione della specie di tipologia III, la minimizzazione della tempistica di attesa per matrici complesse e ricche di materia organica tra il tempo di campionamento e l’esecuzione dell’analisi e la preparazione dell’elutriato di sedimento in riferimento ad un metodo normalizzato e/o standardizzato che ne permetta la ripetibilità [25].
Anche gli aspetti legati alla stima della contaminazione microbiologica dovrebbero essere implementati. Il riferimento alla normativa specifica per la balneabilità delle acque non trova facile trasferimento sul sedimento che presenta metodi ed espressione dei risultati diversi. La scelta dei metodi e dell’espressione dei risultati è lasciata libera (MPN o UFC); questo implica una scarsa confrontabilità dei risultati ottenuti se si utilizzano metodi e unità di misura diverse. L’interpretazione dei livelli di contaminazione riscontrata è lasciata al giudizio esperto non essendo definite soglie di riferimento limite e neppure strategie gestionali specifiche in funzione dei valori riscontrati.
Casi di studio particolari
Molti interventi devono essere effettuati in condizioni critiche e sono caratterizzati da elevata complessità di esecuzione. Ne sono un esempio alcuni interventi Commissariali come la realizzazione di grandi opere marittime quali la Piattaforma Europa (D.P.C.M. 16 aprile 2021) e il dragaggio del porto di Casamicciola Terme (D.P.C.M. 24 gennaio 2022).
Nel primo caso, l’opera è relativa all’ampliamento del porto di Livorno, ha uno sviluppo lineare della diga foranea Nord pari a 4 km e prevede la costruzione di vasche di colmata per una superficie di 130 ha configurandosi come una delle più grandi opere attualmente in fase di realizzazione in Italia [26]. Nel secondo caso, il dragaggio del porto di Casamicciola Terme, ha rappresentato una applicazione al D.M 173/16 su detrito alluvionale recente depositato nel bacino portuale con conseguenti problematiche associate alla complessità della matrice specifica [27].
Un altro caso particolare degno di nota è rappresentato dalla gestione dei sedimenti all’interno degli ambiti lagunari. Sebbene le lagune non siano incluse nel D.M. 173/2016 e siano, pertanto, soggette a gestione normativa diversa, alcuni canali di comunicazione con il mare ospitano porticcioli turistici e pescherecci (es. laguna di Orbetello). Questi ambienti sono naturalmente complessi e gli interventi di tipo gestionale devono essere bene calibrati sulle specifiche caratteristiche del sistema oggetto di studio. Il caso della gestione dei sedimenti nella laguna di Venezia rappresenta un’evidenza di come sia possibile ottimizzare un approccio specifico e calibrato sul contesto ambientale del tipo Weight of Evidence per definire strategie di gestione dei sedimenti in relazione agli effetti ecotossicologici e alla contaminazione chimica [28]. Questa esperienza può essere un ottimo riferimento da trasferire in altri contesti lagunari presenti sul territorio nazionale che necessitano di piani di gestione.
Monitoraggio ambientale: una partita ancora aperta
La progettazione degli interventi non può escludere il monitoraggio ambientale, attività prevista dalla normativa specifica DM 173/2016. Sebbene non previsto dal D.M. 24 gennaio 1996, è anche largamente applicato da diversi operatori economici nell’ambito di interventi legati alla posa di cavi e condotte durante la realizzazione delle grandi opere di interconnessione energetica nazionale o di cablaggio a fibre ottiche. Gli impatti legati alla movimentazione del sedimento possono essere, infatti molteplici. Sono documentati effetti di tipo fisico, come ad esempio alterazione del profilo intertidale [29] o della struttura di popolazione [30]; oppure legati al seppellimento meccanico delle biocenosi di pregio (Posidonia oceanica [31]). Sono documentati anche impatti legati al rilascio di sostanze chimiche inquinanti dai sedimenti movimentati [32-33] durante il processo di ossidazione che si genera durante le fasi di movimentazione che può indurre rilascio in colonna d’acqua di contaminanti legati alla sostanza organica che possono potenzialmente indurre effetti avversi sulle comunità acquatiche [34-35].
Gli interventi di monitoraggio sono importanti anche per escludere gli impatti sulle attività produttive legate all’acquacoltura, sulle zone di nursery delle specie ittiche di interesse commerciale e sulle aree a vocazione balneare. Le attività di monitoraggio devono prevedere la gradualità degli interventi ed essere calibrate sul contesto specifico pianificando interventi in modo da avere un bilancio sforzo/beneficio positivo. In particolare, dato il grande sviluppo economico del settore [2], sarebbe opportuno ottimizzare linee guida e protocolli specifici da applicare al monitoraggio delle attività di acquacoltura sia in termini di impatto delle stesse che di interferenze legate alle attività di dragaggio in zone marine limitrofe [36].
È di particolare rilievo tenere in considerazione le motivazioni per le quali si effettua il monitoraggio ambientale in modo da poter tarare l’intervento in termini di stazioni di campionamento, tecniche di rilievo, analiti ricercati in relazione all’oggetto della tutela.
Attualmente i piani di monitoraggio ambientale sono spesso redatti seguendo delle linee guida, in base al giudizio esperto del tecnico incaricato e focalizzati sulla torbidità come indicatore di impatto ambientale. Questo approccio è limitato e si auspica che possa essere presto superato da approcci più calibrati sul contesto per permettere una valutazione maggiormente aderente al reale impatto dell’intervento [37].
In molti casi la moltitudine di dati disponibili su interventi di monitoraggio ambientale condotti anche su scala nazionale ed estesi ad aree non sono condivisi su piattaforme pubbliche rappresentando un patrimonio conoscitivo acquisito che rischia di andare perso e che potrebbe rappresentare una risorsa conoscitiva chiave per la definizione di linee guida specifiche e condivise con gli Enti di controllo e ricerca ministeriali. In questo contesto, il caso di TERNA rappresenta un valore aggiunto notevole che dovrebbe essere sfruttato data la disponibilità di serie storiche su base nazionale di dati ottenuti dagli ultimi 10 anni di monitoraggi ambientali, nell’ottica della condivisione di linee guida specifiche finalizzate ai monitoraggi ambientali mirati ed efficaci [23].
In generale sui piani di monitoraggio e la loro attuazione in entrambi i contesti normativi è auspicabile un confronto anche con gli osservatori e commissioni presenti sul territorio nazionale come, ad esempio, la commissione pesca, prevista dal D.M. 173/2016 di cui molte Regioni si sono dotate e che potrebbe fornire importanti indicazioni relative alla conservazione degli stock ittici e delle aree di nursery.
Nuove tecnologie e ruolo della ricerca scientifica
La ricerca scientifica apre prospettive interessanti sia in termini di ottimizzazione di metodi, procedure e processi [38-39] che sulla scelta della batteria di specie da testare per la classificazione del pericolo ecotossicologico dei sedimenti [40-41].
Tra gli aspetti interessanti è da ricordare una tematica poco attenzionata dall’attuale assetto normativo e dai programmi di monitoraggio che, tuttavia, ha un grande impatto potenziale: le banche di semi del plancton nei sedimenti marini. Durante le operazioni di movimentazione del sedimento, le forme di resistenza del fitoplancton possono essere liberate in colonna d’acqua e riattivarsi. Questo può innescare possibili proliferazioni microalgali, anche di specie tossiche, che possono impattare le reti trofiche e avere anche conseguenze sulla salute umana e sulle attività di acquacoltura [42].
Le attività di dragaggio pongono sfide tecnologiche e criticità sostanziali che devono essere affrontate dalle imprese che operano nel settore e che sono parte dell’indotto complessivo dell’economia legata al mare.
Queste imprese necessitano di soluzioni innovative per ottimizzare le operazioni di dragaggio che devono essere recepite positivamente anche dagli Enti preposti al controllo [43]. Tra le possibili soluzioni innovative sono state brevettati sistemi di “barriere a bolle” il cui utilizzo è previsto anche dal D.M. 172/2016 “Regolamento recante la disciplina delle modalità e delle norme tecniche per le operazioni di dragaggio nei siti di interesse nazionale, ai sensi dell’articolo 5-bis, comma 6, della legge 28 gennaio 1994, n. 84”.
Sono stati brevettati anche sistemi di pompaggio mediante l’utilizzo di eiettori che hanno dimostrato di essere uno strumento efficace nella gestione ordinaria dei problemi di insabbiamento derivanti dalle interazioni tra infrastrutture portuali e dinamiche naturali delle correnti marine, in particolare alla imboccatura dei porti e nelle darsene [44]. Anche in questo caso l’auspicio è che si possano definire linee guida largamente riconosciute anche dagli Enti di controllo per la scelta ottimizzata e standardizzata delle soluzioni innovative tecniche e tecnologiche da applicare in relazione alle specifiche caratteristiche dell’intervento.
Implementare il confronto e la discussione: esperienze recenti
Tra i portatori di interesse di particolare rilievo è da ricordare l’Osservatorio esperto al D.M. 173/16 istituito dal MATTM (attuale MISE), operativo da novembre 2019 e coordinato da ISPRA per il primo quadriennio 2019-2023 di attività. L’osservatorio, con i rappresentanti degli Enti nazionali di ricerca (ISPRA, CNR, ISS) e una rappresentanza di cinque ARPA regionali e due rappresentanti delle Regioni (Conferenza Stato-Regioni) valuta l’applicazione a livello nazionale del D.M. 173/2016 in termini di autorizzazioni e raccoglie le criticità nella sua applicazione evidenziate dal territorio, individuando possibili soluzioni [41].
Tra gli aspetti oggetto di dibattito meritano di essere focalizzati anche quelli relativi alla progettazione degli interventi e all’importanza della rappresentatività della maglia di caratterizzazione e del carotaggio rispetto al volume complessivo di materiale da sottoporre a movimentazione [26;45].
Il ruolo del Cluster tecnologico nazionale BIG in questo contesto potrebbe essere quello di promuovere momenti di scambio e confronto tra le parti mediante la promozione e organizzazione di workshop, congressi, working group sul tema della gestione dei sedimenti. Lo scopo ultimo è quello di favorire percorsi virtuosi di valorizzazione economica ed economia circolare delle risorse nel rispetto e tutela dell’ambiente.
In questo contesto il workshop organizzato dal Cluster BIG a Napoli il 3 luglio 2023 rappresenta un punto di partenza per lo sviluppo, in collaborazione ai partecipanti all’evento che hanno manifestato interesse specifico, di un documento sintetico su bisogni e lacune associate alla gestione della risorsa sedimento che necessitano di essere portati all’attenzione del Ministero.
Il Cluster BIG, per sua natura e vocazione rappresenta un soggetto idoneo a configurarsi come interfaccia tra il mondo delle imprese, i portatori di interesse e gli organismi di controllo Regionali e/o Ministeriali per portare all’attenzione del legislatore e degli organi tecnici gli elementi di criticità e le road map di sviluppo tracciate da tutti i portatori di interesse.
Per questo, si è attivata la predisposizione di un gruppo interno di lavoro finalizzato a redigere un documento organico e condiviso relativo ai principali risultati, spunti di riflessione e criticità emersi durante la giornata di lavoro, da veicolare ai portatori di interesse a vario titolo coinvolti.
Per riferimenti:
Dott.ssa Gabriella Gagliardi
gabriella.gagliardi@clusterbig.it
Events and Stakeholders Manager
Cluster BIG – Blue Italian Growth
c/o Stazione Zoologica Anton Dohrn
Villa Comunale, Napoli IT – 80121
Prof.ssa Monia Renzi
Università degli Studi di Trieste | University of Trieste
Dipartimento di Scienze della Vita | Department of Life Science
Via L. Giorgieri, 10 – 34127 Trieste (Italy)
Primo Workshop tematico organizzato dal Cluster BIG-BsRC, Sedimenti marino-costieri. Gestione e valorizzazione della risorsa, Stazione zoologica A. Dohrn, Napoli, 3/07/2023
Immagini per gentile concessione da Angela Tozzi (angecaptures), fotografa.
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